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Lo chef Mirko Ronzoni in cattedra al Galli: «Si parta dalla tradizione bergamasca per poi contaminare, usare la fantasia e puntare sulla sostenibilità. Prima del lavoro c’è la formazione. I reality in cucina sono serviti a promuovere la cultura gastronomica»

Continuano le lezioni dello chef Mirko Ronzoni, ricercatissimo consulente di imprese gastronomiche, nella scuola Guido Galli di Bergamo: in questi giorni il noto personaggio televisivo sale in cattedra con delle lezioni che coinvolgono gli studenti (nel ruolo di aiutanti), ma anche i genitori in collegamento. Si parte dalla pasta, quindi dallo gnocco (base patata bollita e barbabietola rossa): al centro la tradizione bergamasca per poi muoversi con creatività nell’ambito della cucina moderna. «Si può giocare un po’ con il cuore e la fantasia» – spiega Mirko Ronzoni, protagonista dell’evento «Adesso tocca a te!» (organizzato con la scuola dall’Associazione Genitori dell’istituto Guido Galli). Lo chef  è un anticonformista, abile comunicatore, vincitore della seconda edizione italiana di “Hell’s Kitchen”, in onda su Sky Uno (condotto dallo chef Carlo Cracco), porta in aula genitori e alunni per una lezione-show on-line. «Avremmo potuto fare queste attività con un nostro chef, ma siamo venuti incontro ai genitori, che con la legge sull’autonomia sono una parte attiva della scuola, quindi possono chiedere di fare formazione loro stessi – puntualizza il dirigente scolastico del Galli, Brizio Campanelli – Ospitare le lezioni di questo chef non significa solo dare l’opportunità di curare l’aspetto culinario, ma anche maturare le competenze in ambito multimediale (come prevede la riforma dei professionali). Quindi, non solo saper fare, ma saper valorizzare e comunicare con strumenti multimediali: per quest’aspetto Mirko Ronzoni è il migliore sulla piazza. Lui è uno dei più gettonati per le consulenze che riguardano l’apertura di nuovi ristoranti e per le video-lezioni di cucina». 

Oggi, lei, Mirko Ronzoni, indossa i panni del docente e parla di cucina bergamasca: quali sono le peculiarità di questa cucina e, con le giuste contaminazioni, è in grado di affrontare le sfide della globalizzazione?

«Assolutamente sì. Prima del lavoro c’è la formazione, non dobbiamo dimenticarlo! È necessario essere preparati per un mondo lavorativo sempre più competitivo. Naturalmente non dobbiamo dimenticare le nostre radici: bisogna conoscere la tradizione, la cucina bergamasca non è tra le cucine regionali di tendenza, perché il sud Italia, la zona mediterranea, ha dei prodotti, degli ingredienti e delle peculiarità straordinarie, ma non dimentichiamo che anche la nostra cucina ha delle ricchezze da riproporre e diffondere nel mondo.  È importante partire dalla cucina bergamasca per poi essere creativi ed azzardare un po’: è proprio su questi concetti che puntano le mie lezioni di cucina, che svolgo con il supporto degli studenti, qui nella scuola “Guido Galli” di Bergamo». 

Dunque, prima imparare la tradizione, poi contaminare, quindi renderla sostenibile, giusto? 

«Assolutamente sì, dev’essere ormai un mix, inoltre, la cucina non può prescindere dall’attenzione verso l’ambiente. Le parole d’ordine sono sostenibilità, attenzione allo spreco, cucina che consapevole e capace di valorizzare le produzioni bergamasche: è importante che queste nozioni entrino nel DNA dei ragazzi. Oggi bisogna essere capaci di reinterpretare la tradizione. Per quanto riguarda la lotta allo spreco, dobbiamo imparare la lezione dei nostri nonni, non buttavano nulla, anche quando utilizzavano il maiale: con gli scarti preparavano il brodo».

Qual è il principale obiettivo delle lezioni a scuola?

«È un modo per fare da collante tra formazione e mondo del lavoro: ricordiamoci che chi fa lo chef oggi è prima andato a scuola (io andavo a lavorare nel weekend, durante la scuola). Esistono gli stage, ma non sono abbastanza per entrare a 18 anni nel mondo del lavoro. È per me bellissimo, ed è per questo che ho accettato di venire al Galli, poter inserirmi e inserire i colleghi nell’iter scolastico, per creare una connessione vera tra formazione, mondo del lavoro e modernità della cucina. Questo è un modo di fare cultura e costruire un network già dalla scuola, coinvolgendo le famiglie, gli imprenditori e i curiosi». 

Tutto sommato i vituperati “reality” sono serviti a promuovere la cultura gastronomica e a lanciare nuovi talenti, vero?

«Assolutamente sì, io parlo di inclusione e di apertura. È vero che tutto quello che coinvolge un ampio pubblico può servire, anche se c’è sempre un lato negativo della medaglia. Però ricordiamoci che la cucina è anche condivisione, felicità, racconto: non blocchiamoci davanti a preconcetti. La cosa negativa, probabilmente, è l’illusione che può creare un reality: è giusto che i ragazzi capiscano che non possono uscire tutti dall’istituto alberghiero e diventare Carlo Cracco ed avere un ristorante milionario. Bisogna restare con i piedi per terra e sudare tanto. C’è bisogno di tanta gavetta: ci si fa male, ma si gode tanto con questa professione. Comunque la televisione ci ha dato i riflettori che dobbiamo saper sfruttare. La nostra categoria ha beneficiato di un importante palcoscenico».

Comunque con questo lavoro si guadagna bene (lavorando tanto), anche se non si diventa famosi, vero?

«Questo è un lavoro che non troverà mai crisi, speriamo! Però si passano tante ore in cucina e si fa tanta fatica. L’importante è farlo con passione. Il consiglio agli studenti del Galli è di studiare, formarsi e non dar mai per scontato nulla. È un lavoro manuale e di pratica, ma è fondamentale anche avere cultura a 360 gradi per saper comunicare e migliorare i nostri piatti». 

di Gaetano Gorgoni

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