no alla violenza
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Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

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STOP ALLA VIOLENZA

La violenza contro le donne è purtroppo ancora oggi un fenomeno dalla portata davvero allarmante: è un fenomeno trasversale che riguarda qualsiasi ceto sociale in qualsiasi parte del mondo. Con “violenza contro le donne” non si intende solo il femminicidio, ma qualsiasi tipo di violenza, dalla discriminazione di genere, alla violenza fisica, alla violenza sessuale, alla violenza psicologica. Si utilizza il termine “femminicidio” e non omicidio perché con femminicidio si intende l’uccisione di una donna IN QUANTO DONNA per MANO MASCHILE. 

Il termine femminicidio è stato coniato a CIUDAD JUÁREZ, la città messicana “che divora le sue figlie”: nel 1993 state uccise 370 donne per avere un’idea del drammatico fenomeno, basti pensare che in poco più di un decennio (2005) sono scomparse 4.456 donne. Ciudad Juárez non è solo una città schiacciata dai cartelli della droga, ma, trovandosi al confine con gli Stati Uniti, è la città delle maquiladoras, le fabbriche (in cui lavorano prevalentemente le donne) che assemblano le componenti elettroniche di pc, televisioni, ecc… costruite in seguito all’accordo di libero scambio tra Stati Uniti, Messico e Canada (North American Free Trade Agreement – NAFTA). Nel tragitto tra le fabbriche e le abitazioni, le operaie spariscono: vengono stuprate, torturate, uccise e mutilate e i loro corpi vengono gettati nel deserto, dove le madres li ritrovano. Le madres sono le uniche a cercarle: il governo messicano occulta il problema, non cerca i responsabili, non punisce nessuno. Ancora oggi, nel 2021.

Nel 2001 la poetessa trentaseienne messicana Susana Chàvez viene barbaramente uccisa per aver tentato di denunciare il clima di violenza contro le donne con le sue poesie, di cui una si intitolava “Ni una muerta mas” (= non una morta di più). Il titolo, contratto in NI UNA MAS = (non una di più), è divenuto il MOTTO della lotta contro la violenza sulle donne in tutto il mondo.

Nel 2009 l’artista messicana Elina Chauvet ha ideato un’installazione per parlare del problema del femminicidio e dell’omertà che lo circonda: lo ha fatto nella sua città, a Ciudad Juárez, posizionando 33 paia di scarpe rosse in una strada del centro. L’installazione ha avuto una risonanza mediatica tanto sorprendente quanto inattesa; così il progetto è partito nello stesso anno per dirigersi verso molte altre città del mondo, arrivando per la prima volta in Europa, a Milano nel 2012. Solo nel 2015 più di 40 piazze in tutto il mondo hanno ospitato ZAPATOS ROJOS. Le scarpe rosse sono diventate il SIMBOLO della lotta alla violenza contro le donne in tutto il mondo. Il progetto assume, nella sua fase finale, la forma di un’installazione composta da centinaia di paia di scarpe rosse da donna in una simbolica e toccante marcia: ogni paio di scarpe, infatti, rappresenta una donna e la traccia di una violenza subita. Sistemate ordinatamente lungo un percorso urbano, le scarpe ne ridisegnano lo spazio e l’estetica, visualizzando una marcia di donne assenti, un corteo che sottolinea il dolore che tale mancanza provoca tanto a livello sociale quanto nei propri cari. 

Dal 2009 Elina e la sua famiglia vivono sotto minaccia di morte.

Zapatos rojos in Piazza Vecchia a Bergamo – fotografia di Michela Pani

Perché affrontiamo questo argomento qui, adesso, in Italia?

È comune, nella nostra società, pensare che questo fenomeno sia lontano da noi, in Messico ad esempio, e non ci tocchi da vicino, ma i dati ci smentiscono categoricamente. Riportiamo (fonte ANSA e ISTAT) alcuni dati pubblicati riguardanti gli ultimi anni in Italia, per renderci conto della portata del fenomeno.

Una donna su tre (tra i 16 e i 70 anni), cioè 6.788.000 persone, in Italia, subisce abusi fisici o sessuali almeno una volta nella vita.

Nel 2016 sono state uccise 145 donne: il 77% di questi, cioè 112 casi, sono avvenuti in ambito familiare (per mano del coniuge o del convivente). Tra il 2006 e il 2016 ci sono stati 1.740 casi di femminicidio: una media di 174 all’anno.

Nel 2017 sono avvenuti 113 femminicidi, che vuol dire 1 ogni 3 giorni. Questi dati riguardano solo il femminicidio; poi ci sono tutte le altre forme di violenze. In quest’ultimo caso i dati si basano solo sulle violenze denunciate (6.533 chiamate al numero antiviolenza nel 2017, 13.819 denunce ai Carabinieri per percosse, stalking e violenza sessuale nel 2016 – dati ufficiali del sito del Telefono Rosa 1522 e del Sistema di indagine (SDI) del Ministero dell’Interno), ma si stima che almeno altrettante – se non di più – non vengano denunciate dalle donne per paura o vergogna e perché le vittime non si sentono sufficientemente protette e tutelate dalla legge.

Nei primi sei mesi del 2018 sono state uccise 44 donne, il 30% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il totale delle vittime a fine anno è stato però fortunatamente in leggero calo: 106 femminicidi.

Nel 40% dei casi vengono usate armi da taglio, nel 13% armi da fuoco e nel 18% dei casi gli omicidi avvengono per strangolamento. Almeno il 25% delle donne è stato molestato online. Quasi 3,5 milioni, invece, le donne che hanno subito stalking nel corso della loro vita, cioè il 16,1% del totale: il 41% di esse dall’ex partner, il 59% da altre persone.

Tutto ciò è peggiorato nel corso della pandemia che ci affligge da tempo: durante il lockdown totale del 2020 le chiamate valide al numero antiviolenza 1522 sono aumentate del 79,5%, raggiungendo il picco di 12.942 chiamate valide solo nel secondo trimestre dell’anno. Nel 2021 siamo già a 8.508 chiamate (dati ufficiali del Telefono Rosa 1522).

Basti pensare che da gennaio a novembre 2021 le vittime di femminicidio in Italia sono già a quota 116, ancora uno ogni tre giorni e mezzo….

Infine, rimangono ancora non affrontate a livello legislativo due questioni di fondamentale importanza relative al fenomeno della violenza sulle donne: da una parte, i figli delle vittime (solo nel biennio 2014-’16 ci sono stati 417 orfani in seguito ai femminicidi, con conseguenti enormi problematiche sia emotivo/psicologiche sia di affido), e dall’altra il recupero degli abusanti (gli uomini che hanno commesso violenza, scontano la pena nell’86,4% dei casi, ma una volta usciti dal carcere rimangono violenti nei confronti delle donne perché non è previsto alcun recupero psicologico/sociale. Ultimamente alcune facoltà di psicologia e alcune associazioni stanno ponendo la questione all’attenzione degli organi legiferanti). La strada da fare è ancora lunga, ma almeno è iniziata…

Quindi, purtroppo, ha senso parlarne qui, nel 2021, in Italia.

Ma quali sono le origini di questo fenomeno, che abbiamo visto essere trasversale?

Le origini della discriminazione e della violenza contro le donne si perdono nella notte dei tempi e sono di tipo culturale. Da millenni le società si basano su un sistema patriarcale, cioè un sistema sociale in cui gli uomini detengono il potere e predominano in ruoli di leadership politica ed economica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà privata. La società patriarcale ha dunque impedito alle donne di godere degli stessi diritti e delle pari opportunità degli uomini. 

Una conseguenza del sistema patriarcale è il maschilismo, cioè un atteggiamento basato sulla presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna. Questo atteggiamento, estremamente diffuso, ha portato anche a considerare la donna come mezzo di soddisfacimento del piacere sessuale maschile: questo fenomeno si chiama ‘oggettivazione sessuale della donna’ ed è purtroppo un fenomeno che riceve costantemente contributi dalla pubblicità, dalla televisione, dai video clip e dal web, attraverso immagini della donna presentata in pochi atteggiamenti stereotipati e sessualizzati, ruoli limitati, con corpi e volti standardizzati per stimolare le fantasie sessuali degli uomini.

La donna perde così la propria individualità, diviene oggetto ed esiste solo per soddisfare bisogni maschili, che non sono necessariamente solo sessuali, ma anche ad esempio bisogno di mostrare potere, controllo, proprietà. Purtroppo, se da una parte molte donne (ma pochissimi uomini!) lottano contro questa svalutazione della figura femminile nella società, molte donne sono invece compiacenti e si prestano a tale umiliazione, proprio a causa di una mentalità maschilista così radicata nella cultura da essere diventata propria anche di una parte delle donne stesse.

Maschilismo e oggettivazione della donna sono pesanti forme di discriminazione e violenza che possono portare a violenze ancora più gravi o fisiche.

Cosa possiamo fare tutti noi nella quotidianità?

Sradicare la cultura maschilista e l’oggettivazione sessuale della donna dalla nostra società è una responsabilità di tutti e tutti possiamo e dobbiamo dare un contributo. Vediamo come:

Linguaggio > spesso le parole offensive che usiamo nei confronti delle donne fanno riferimento al sesso, cosa che non accade nei confronti degli uomini. Cambiare il linguaggio sembra una piccola cosa, ma in realtà significa smettere di considerare e trattare le donne come oggetti

Parlare del problema > di violenza sulle donne e di discriminazione di genere si parla solo in occasione del 25 novembre, oppure se un caso di cronaca è particolarmente toccante. Ma come abbiamo visto, il fenomeno purtroppo è sempre attivo, tutto l’anno e ovunque, e i numeri sono agghiaccianti. Per questo bisognerebbe parlarne spesso e in tanti contesti diversi (a casa, a scuola, con gli amici, negli spogliatoi quando si fa sport, al bar, …)

Essere d’esempio > dire “bisogna trattare bene le donne” non serve se poi nei fatti, ad esempio, ci si fa servire dalla mamma, in casa non si contribuisce a pulire e riordinare come se spettasse alla donna farlo, si controlla la fidanzata come se fosse una proprietà, ecc… La cultura maschilista si sradica con i fatti, non con le parole! I figli maschi imparano come si trattano le donne osservando i comportamenti e gli atteggiamenti quotidiani dei loro padri nei confronti delle loro mamme, e le figlie femmine imparano come farsi trattare dagli uomini attraverso gli atteggiamenti delle loro mamme: questo è un dato di fatto e lo dobbiamo sempre tener presente. Saremo quindi noi ragazzi e ragazze ad educare i nostri figli a una cultura finalmente non più maschilista, attraverso i nostri comportamenti quotidiani. Nessuno potrà e riuscirà a farlo al posto nostro! È solo così che possiamo innescare un cambiamento culturale

Non prestarsi all’oggettivazione sessuale > le donne non devono considerarsi oggetti né presentarsi come tali. È certamente importante piacere alla persona che ci interessa, ma non si deve mai perdere la propria dignità di individuo

Segnalare > se ci rendiamo conto che una donna, ad esempio un’amica o una vicina di casa, è vittima di violenze domestiche, non è compito nostro intervenire direttamente, ma è un dovere civile e morale segnalare immediatamente ai Carabinieri, i quali non solo hanno l’obbligo di intervenire, ma soprattutto sanno come farlo. Far finta di niente ci rende complici della violenza

Non dimentichiamo mai che la discriminazione e la violenza sono sempre e comunque crimini e in nessun modo possono essere giustificati o tollerati! Messaggi come “era vestita in maniera provocante” non possono in alcun modo essere accettati in quanto tentano di creare attenuanti alla violenza colpevolizzando in parte la vittima. 

Così come non sono accostabili parole come ‘amore’ e ‘violenza’ (es. “l’ha uccisa perché la amava troppo e non accettava la fine della relazione”), che invece spesso nel linguaggio comune vengono spesso accostate, soprattutto nei titoli di giornale. L’amore non c’entra nulla con la violenza e questo è un concetto che deve essere chiaro a tutti.

Come richiedere aiuto?

Se una donna subisce abusi o violenze può chiedere aiuto in diversi modi:

  1. chiamare i Carabinieri e/o denunciare presso la caserma (se si chiamano i Carabinieri, ma non ci si vuole far accorgere dal proprio aguzzino che è in casa con noi, possiamo ad esempio far finta di ordinare una pizza, insistendo finché il carabiniere capisca e ripetendo “vorrei ordinare una pizza, mi può aiutare?”. In tal caso, fornire l’indirizzo di casa non desterà sospetti da parte dell’uomo violento)
  2. recarsi ad un centro antiviolenza (sul territorio ci sono tanti centri di questo tipo)
  1. chiamare il Telefono Rosa 1522
  2. fare ripetutamente un segnale con la mano se si è in giro col proprio aguzzino e si vuole comunicare a chi ci sta attorno che si ha bisogno di aiuto
  3. confidarsi con persone amiche, senza vergognarsi: è chi fa del male che si deve vergognare, non chi lo subisce! Spesso avere qualcuno che ci supporta può convincerci a denunciare e aiutarci ad affrontare il dopo-denuncia. Isolarsi non può che peggiorare la situazione: le vittime non sono sole e non devono essere lasciate sole!
Segnale con la mano

Perché il 25 novembre? 

Concludiamo con una nota storica. La data del 25 novembre fu scelta nel 1999 dall’Assemblea Generale dell’ONU in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo, il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni. Il 25 novembre 1960, infatti, le sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti ingiustamente imprigionati, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono stuprate, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

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