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Tra i grandi e nobili poteri dell’arte c’è quello di mantenere viva la memoria. E nel caso dell’Olocausto e del Nazismo ricordare è un DOVERE. 

Il cinema, con la sua immediatezza datagli dalla magia delle immagini, della musica e dell’azione, può aiutarci a non dimenticare, a comprendere, a visualizzare in modo più facile rispetto ad altre forme d’arte, perché parla a tutti e si fa capire da tutti.

Per questo motivo nella settimana dal 24 al 29 gennaio nel nostro istituto sono proposti 4 film da vedere in classe e da discutere con gli insegnanti: si tratta di film che vogliono dare una chiave di lettura diversa da quella più classica della filmografia sulla Shoah. I grandi capolavori come La vita è bella, Il bambino col pigiama a righe, La signora dello zoo di Varsavia, la Ladra di libri, La chiave di Sara o Schindler list sono già stati proposti e visti dalla maggior parte degli studenti durante il percorso scolastico. Qui si propongono 4 film che raccontano di un ragazzino che si crede nazista, di un gruppo di uomini che vogliono salvare le opere d’arte, di un’anziana ebrea che rivuole un dipinto perduto durante la guerra e di un gruppo di studenti che crede che sia impossibile un ritorno del nazismo.

L’ONDA (2008) – Regia di Dennis Gansel

Ispirato ad un esperimento sociale svoltosi in California nel 1967 sulle dinamiche di gruppo, il film racconta una storia d’invenzione ma drammaticamente realistica sulla possibilità oggi, in un paese cosiddetto civile, dell’instaurarsi di una dittatura. Un docente di un liceo tedesco lancia una provocazione ai suoi studenti: “È possibile una dittatura oggi?”. I ragazzi sono convinti che la storia insegni e che quindi non sia possibile. Il docente però innesca una serie di meccanismi all’interno del gruppo che però sfuggono al suo controllo, in quanto i ragazzi non si limitano a sperimentare durante il laboratorio, ma attuano comportamenti discutibili ed estremi anche fuori dall’ambiente controllato e protetto della scuola. La situazione infatti degenererà in solo una settimana. Il film è molto coinvolgente e avvincente, sia per la trama sia perché gli studenti si identificano nei protagonisti, che hanno più o meno la loro età. Il fatto che sia ambientato ai giorni nostri contribuisce a far comprendere che i comportamenti discriminanti e dispotici sono pericolosi e sfuggono facilmente al controllo diffondendosi là dove non c’è pensiero critico.

MONUMENTS MEN (2014) – Regia di George Clooney

Ispirato alla vera storia dei Monuments men, il film racconta le vicende degli uomini coraggiosi che hanno protetto le opere d’arte durante le ultime fasi della Seconda Guerra mondiale. Quando gli alleati arrivano in Europa la situazione che trovano dal punto di vista dell’arte è molto complessa: da una parte Hitler stava progettando la costruzione del gigantesco Fürer Museum a Linz, sua città natale, per cui rastrellava tutte le opere che gli piacevano per riempire quel contenitore (le prelevava sia dai musei pubblici sia dalle collezioni private, dichiarando peraltro illeciti i collezionisti ebrei); dall’altra eliminava le opere ritenute ‘arte degenerata’, ovvero pericolosa per il regime perché paladina della libertà di espressione (faceva bruciare le opere di Picasso,  Ernst, ecc…). Di contro, gli alleati bombardavano i territori europei, mettendo a loro volta a rischio moltissimi monumenti ed edifici. Infine, nelle ultime fasi della guerra, intuita la fine imminente Hitler emana il Decreto Nerone in cui stabilisce che nel caso venisse ucciso tutte le opere d’arte accumulate per il Fürer Museum vengano bruciate! Come se non bastasse, l’esercito russo man mano giunge in Europa confisca le opere confiscate dai nazisti come bottino di guerra: una sorta di risarcimento per i milioni di morti russi. Il destino dell’arte è davvero in pericolo: i Monuments men, che nella realtà sono molti più dei protagonisti del film, svolgeranno un ruolo fondamentale per salvare più opere d’arte possibile. È necessario perché l’arte racconta la cultura e l’esistenza di un popolo, motivo per cui i conquistatori nel corso della storia hanno sempre eliminato le opere simbolo delle civiltà conquistate nell’intento di eliminarne il ricordo.

WOMAN IN GOLD (2015) – Regia di Simon Curtis

Basato su una storia vera, il film racconta il processo di restituzione alla legittima erede ebrea di un importantissimo ritratto dipinto da Klimt, confiscato dai nazisti durante la guerra. La vicenda è molto coinvolgente, con colpi di scena realmente accaduti. Il processo per la restituzione del Ritratto di Adele Bloch-Bauer è stato uno dei primi di questo genere (oggi ce ne sono ancora molti in corso) e quindi ha fatto da apripista ad un argomento molto complesso sia dal punto di vista emotivo-sentimentale sia dal punto di vista giuridico. Infatti, questi due aspetti vengono ben sviscerati nel film: da una parte, sono molto toccanti i ricordi della guerra e della famiglia perduta e distrutta che la protagonista è costretta a rivivere, ma parallelamente c’è l’avvincente scoperta di un cavillo tecnico del testamento che darà la svolta al procedimento giuridico.

JOJO RABBIT (2019) – Regia di Taika Waititi

Il film narra la storia di un bambino convinto di essere nazista, che si allena per entrare nell’esercito nazista, che ha Hitler come amico immaginario. La sua vita prenderà però una svolta inaspettata a seguito di un incidente che lo costringerà a prendere parte al progetto di Hitler non più sul campo di battaglia, ma attraverso il volantinaggio. Scoprirà così il grande segreto custodito da sua madre e soprattutto si renderà conto dell’assurdità dell’ideologia nazista, semplicemente ascoltando il proprio cuore. I personaggi sono molto ben caratterizzati e conducono alla riflessione su una delle grandi scelte sul senso della vita: vivere come si è o come si deve?

Anche la Street Art ci aiuta a ricordare e a riflettere: BANKSY ha realizzato due opere emblematiche che sono un pugno nello stomaco, com’è nel suo linguaggio artistico. 

Nel 2013 BANKSY ha pubblicato sul suo sito la foto di una sua opera intitolata La banalità della banalità del male (sottotitolo: “Un dipinto di un negozio dell’usato è stato vandalizzato e poi ridonato al negozio dell’usato”). Si tratta di un dipinto di K. Sager che Banksy ha modificato (vandalizzato dice l’artista) inserendo un soldato nazista seduto di spalle su una panchina. Precedentemente Banksy aveva comprato il dipinto in un negozio dell’usato per 50 dollari e, una volta modificato, l’ha donato di nuovo al negozio affinché lo vendesse all’asta per beneficenza. Infatti, il negozio (Housing Works), che si trova a New York sulla 23° strada, tra le altre cose si occupa di fornire assistenza ai senza tetto e ai malati di AIDS.  Il dipinto è stato venduto per 76.000 dollari. L’opera va letta sotto diversi aspetti: il concetto di vandalizzare > Banksy è uno street artist e le sue opere sono vandaliche per definizione; 2) la critica al mercato dell’arte > i collezionisti comprano opere anche brutte (banali in questo caso) a cifre altissime perché è uno status symbol; 3) sfruttare l’arte per fare beneficenza > unico vero scopo dell’arte; 4) già Hannah Arendt aveva messo in luce quanto fossero banali gli uomini che poi si sono rivelati disumani e Banksy vuole rimarcare il concetto della banalità. Come sempre Banksy colpisce nel segno..

BANKSY ha realizzato anche un’altra opera dedicata alla Seconda Guerra Mondiale intitolata Lipstick Concentration Camp che trae ispirazione dal diario del tenente colonnello Mervin Willett Gonin, insignito dell’onorificenza DSO e tra i primi soldati britannici ad entrare nel campo nazista di Bergen-Belsen, liberato nell’aprile 1945. Il passo che ha colpito Banksy è questo: «Mucchi di cadaveri, nudi e osceni, con una donna troppo debole per stare in piedi da sola che si puntellava contro di essi mentre cucinava il cibo che le avevamo dato sulla fiamma di un fuocherello; uomini e donne che si accucciavano ovunque all’aperto, scaricandosi della dissenteria che sconquassava loro gli intestini, una donna in piedi completamente nuda che si lavava con del sapone dell’esercito nell’acqua di una cisterna in cui galleggiavano i resti di un bambino. (…) Fu poco dopo l’arrivo della Croce Rossa britannica, malgrado non vi sia un legame tra i due eventi, che fu consegnata una quantità molto ingente di rossetto. Non era proprio quello che noi avremmo voluto, noi invocavamo a gran voce centinaia e migliaia di altre cose e non so proprio chi fosse stato a chiedere il rossetto. Vorrei tanto poter scoprire chi era: fu l’operato di un genio, un gesto di pura, incontaminata intelligenza. Credo che niente abbia aiutato quegli internati più del rossetto. Le donne giacevano nelle cuccette prive di lenzuola e senza una camicia da notte, ma con labbra rosso scarlatto; le vedevi vagare qua e là con solo una coperta gettata sulle spalle, ma con labbra rosso scarlatto. Vidi una donna morta sul tavolo autoptico e nella mano serrava un pezzo di rossetto. Finalmente qualcuno si era adoperato per far sì che tornassero ad essere degli individui, erano qualcuno, non più solo il numero che avevano tatuato sul braccio. Finalmente potevano interessarsi del loro aspetto. Fu quel rossetto a restituire loro i primi brandelli di umanità».

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