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Bergamo – Il 13 aprile 2022 la classe 4E accompagnata dalle prof.sse Bertuzzi e Fraternale

Abbiamo avuto la fortuna e l’onore di poter visitare l’ex carcere di Sant’Agata situato in città alta a Bergamo, un luogo pieno di emozioni, che racconta di uomini e donne vittime del nazifascismo.

Durante il percorso  della mostra “Se quei muri” siamo stati accompagnati da Luciana Bramati, vicepresidente dell’Isrec (Istituto bergamasco per lo studio della Resistenza e dell’età contemporanea), che fin da subito ci ha portato a riflettere sugli avvenimenti ferini di quell’epoca.

Che emozioni si sentono ad entrare nell’ex carcere?

Sanpietrino d'Oro ex carcere Sant'Agata Città alta Bergamo - studenti dell'istituto alberghiero Guido Galli in visita guidata
Sanpietrino d’Oro

Già prima di varcare l’ingresso dell’ex carcere ci siamo soffermati su una piccolo sanpietrino d’oro, una pietra d’inciampo, su cui è inciso il nome di Pietro Zappata, una giovane guardia del carcere che di fronte a tutte queste  brutalità decise di restare umano, aiutando come poteva i carcerati. 

Dopo una prima riflessione sull’evoluzione di Sant’Agata, da monastero a luogo di detenzione, siamo entrati nell’edificio e ci siamo fermati nella sala, in cui si svolgevano le visite tra detenuti e familiari, allestita con cartelloni che ci hanno permesso di ricostruire gli avvenimenti più salienti di quegli anni, avvenuti non solo nel carcere di Sant’Agata, ma in modo più ampio in tutti i luoghi simbolo del Fascismo a Bergamo. 

E’ stata poi di forte effetto la visita alle celle di detenzione,  mantenute nelle condizioni di degrado di allora, per permettere di far percepire più  profondamente al visitatore il patimento dei condannati. 

Di primo impatto il luogo si presenta fatiscente con lo scostamento di diversi strati di intonaco dai muri, che mostrano i colori originali delle pareti a dimostrazione dei lavori grossolani e scadenti, che nel tempo hanno privato il detenuto di un luogo di detenzione dignitoso.

mura dell'ex carcere Sant'Agata Città alta Bergamo - studenti dell'istituto alberghiero Guido Galli in visita guidata

Le celle

Ci avvicendiamo nelle cella, ognuna denominata in modo significativo.

La prima cella

Al centro della cella osserviamo una scatola di fiammiferi riportante la scritta "Noi combattiamo per la  tua patria, la tua famiglia, la tua sicurezza. E tu cosa fai?" 

Comunità. Ecco il nome della prima cella, dedicata alla collettività di quel periodo.  Una comunità divisa dall’ideologia, supportata dalla  propaganda e dalla censura. 

Al centro della cella osserviamo una scatola di fiammiferi riportante la scritta “Noi combattiamo per la  tua patria, la tua famiglia, la tua sicurezza. E tu cosa fai?” 

La domanda gioca fortemente sul senso di colpa delle persone già fragili, che erano disposte a  tutto pur di salvare i propri cari.

La seconda cella

Le celle dell'ex carcere Sant'Agata Città alta Bergamo - studenti dell'istituto alberghiero Guido Galli in visita guidata

La seconda cella porta a riflettere sulle sofferenze fisiche dei condannati, privati di indumenti che li proteggano dal freddo. Corpo, quindi, è una cella dedicata agli  abusi subiti, sia psicologici che fisici, molto spesso fatali, ricordando Aldo Battaggion, un  giovane partigiano che riuscì a non denunciare i suoi compagni, seppur sotto tortura, grazie sia al proprio corpo sia soprattutto alla sua mente d’atleta, che gli permise di capire il sistema di quel posto di terrore. 

La terza cella

Genere, racconta del ruolo determinante delle donne nella lotta al  fascismo. 

Donne che non hanno fatto vanto delle loro azioni eroiche nella Resistenza, tornate, dopo il 1945, alle loro vite  senza clamore. 

Un esempio di eroismo è quello di Lydia Curti farmacista che procurava medicinali ai feriti, mettendo a repentaglio la propria vita. Fu un’eroina non solo durante la guerra, ma anche dopo, quando divenne la prima assessora del Comune di Bergamo, mettendo al centro del suo impegno civico i diritti delle donne.

La quarta cella

L’Altro è la quarta cella, che racchiude la storia di una famiglia sterminata dalle brutalità del regime fascista, il cui unico obiettivo era quello di deportare e sterminare migliaia di persone innocenti. 

Innocenti come la famiglia Sonnino, di origine ebraica, che si trasferì a Bergamo all’inizio degli  anni ‘20: qui apre un negozio di tessuti in viale Roma (oggi viale Papa Giovanni). Pilade, figlio di  Amleto e Argìa Suggi, sposa la bergamasca Luigia Caspis e, dopo alcuni anni fuori città, torna  con la moglie e la figlia Argìa. 

Rimasto vedovo, Amleto si risposa con Bella Marianna Ortona e nasce Ilda. Dopo essere state  detenute a Sant’Agata, Ilda e la mamma Bella Marianna sono trasferite a Fossoli e da qui ad  Auschwitz: Bella Marianna finisce nella camera a gas all’arrivo, Ilda muore a Bergen Belsen nel  febbraio del 1945. Pilade è arrestato il 17 agosto del 1944 e deportato a Mauthausen. Muore il 29  aprile del 1944, pochi giorni prima della liberazione del campo. 

(La pietra d’inciampo in via San Bernardino 17, a Bergamo, è dedicata a Bella Marianna e a Ilda Sonnino.) 

La quinta cella

Comunicare è la quinta cella, e in essa sono contenute molte delle lettere che i detenuti spedivano e ricevevano da famigliari e amici. Le lettere, prima di raggiungere il destinatario, venivano sottoposte ai controlli delle autorità.

La censura si abbatteva su messaggi  considerati pericolosi, che potessero rivelare le condizioni di prigionia dei detenuti o che veicolassero piani o informazioni non in linea con il regime.

Non sempre però la censura riesce a intercettare questi biglietti, anche se spesso le lettere dei detenuti contenevano messaggi d’amore, per i propri cari,  in cui si esprime il sentimento di nostalgia e l’affetto provati.

Ciò ci fa capire che i detenuti cercavano di eludere i controlli non per il contenuto delle lettere, passibile di  incriminazione, ma per una forma di pudore verso ciò che è intimo, protetto da quel sistema che li aveva brutalizzati.

L’ultima cella

Nell’ultima cella, Luogo, leggiamo una lettera molto commovente di un padre alla figlia, prima della condanna a morte. 

Egli era consapevole che la propria morte fosse incombente e scrisse una lettera piena di amore all’unica persona ancora viva a lui cara. 

La cosa che ha colpito molto è che, con un incredibile coraggio, la figlia abbia deciso di donare al museo questa lettera, privandosi dell’ultimo ricordo  del padre  per consentire a tutti i visitatori di riflettere sugli orrori di questo luogo e dell’epoca che rappresenta.

La galleria dell’Uscita didattica della classe 4E

Questo breve viaggio nella storia ci ha reso più consapevoli della spensieratezza e della libertà delle nostre esistenze, frutto dei  sacrifici e delle sofferenze di uomini e donne che hanno scelto di combattere e di opporsi, per poter dare alle generazioni future una vita  priva di discriminazioni e violenze.

Al termine della visita alla mostra “Se quei muri” siamo tornati al piano inferiore e, divisi in quattro gruppi, abbiamo sviluppato un’attività specifica.

Attività didattica

Per esempio, un gruppo doveva leggere la scheda biografica di Giuseppe Sporchia, giovane partigiano condannato a morte, decifrare e analizzare una riproduzione della lettera originale che egli scrisse alla figlia prima di morire, confrontandola con alcuni estratti delle lettere di altri condannati a morte della Resistenza.

Attività didattica all'ex carcere Sant'Agata Città alta Bergamo - studenti dell'istituto alberghiero Guido Galli in visita guidata

Lo scopo era di comprendere qual è il lascito che un uomo in punto di morte vuole trasmettere a chi resta, immedesimandosi e riflettendo sulle emozioni provate.

Ad un altro gruppo, invece, è stata assegnata la lettura dell’introduzione, scritta da Natalia Ginzburg, a “Il sistema periodico” di Primo Levi, soffermandosi sui punti salienti del  capitolo “Zinco” e individuando il messaggio complessivo del testo.

Infine, è stata analizzata con attenzione l’iconografia della copertina del numero 1 (5 agosto 1938) de “La difesa della razza” e in seguito messa in relazione con il testo di Levi e  proponendo osservazioni personali.

Lo scopo della visita

Questa attività laboratoriale aveva lo scopo di ricordare ai ragazzi che dalla Storia c’è sempre da imparare, e che la diversità è un pregio, mentre la purezza in natura è spesso portatrice di debolezza.

Irina Bertani, Stefano Alborghetti, Giada Aristolao, Sara Papini, Camilla Rocchi

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